mercoledì 19 dicembre 2012

Western all’americana e Spaghetti western: fenomeni distinti o strettamente concatenati?



Il termine Spaghetti western nacque negli Stati Uniti per indicare un fenomeno cinematografico durato circa quindici anni (approssimativamente tra il 1964 e il 1978). Si trattava di lungometraggi in lingua italiana, che nonostante la povertà dei mezzi e il budget ridotto sembravano voler imitare i grandi western alla John Ford. Generalmente venivano girati in Italia o Spagna. Solo in rarissimi casi, dove in pratica c'erano più soldi a disposizione, la troupe si spostava in altri paesi del Mediterraneo.

Il genere Western americano viene invece fatto risalire addirittura a Buffalo Bill Cody, che con il suo Wild West Show ebbe il merito di riuscire ad esportare l’atmosfera delle praterie americane (abbondantemente esagerata in alcuni casi) fino in Europa. Il West di frontiera veniva visto come un ideale di libertà e di speranza e successivamente fu ripreso da quasi ogni forma d'arte. Dall'inizio del XX° secolo gli angoli più desolati di California, Arizona, Utah, Nevada, Colorado e Wyoming si popolarono di troupe che intendevano immortalare quei paesaggi mozzafiato. I film western vennero divisi in vari sottogeneri, ma l’età d'oro del western classico è rappresentata dalle grandi opere di due registi, John Ford (che sceglieva spesso come protagonista John Wayne) e Howard Hawks. Ombre Rosse, un film di Ford del 1939, viene considerato la Bibbia del genere western, segnando il confine tra il western epico degli anni trenta (eroi poco realistici, in cui spesso i “cattivi” erano gli indiani),  e quello revisionista di Sergio Leone.


L'eroico John Wayne in "Ombre Rosse"



Gli Spaghetti western ebbero il grande merito di imporsi sul grande pubblico, costringendo anche il western americano a rinnovarsi per non soccombere. Già dalla fine degli anni sessanta infatti gli americani dovettero fare i conti con un regista italiano che pareva quasi impossibile da sbaragliare: Sergio Leone. Per un pugno di dollari (1964) fu il suo primo Spaghetti western e uno dei più famosi del genere, lanciando nel firmamento delle star Clint Eastwood. Non molti sanno che la trama di questo film in parte ricalca quella de La sfida del samurai di Akira Kurosawa (1961) e che il nostro Leone si firmò per la regia come Bob Robertson, anglofonizzazione del nome d'arte di suo padre Vincenzo (Roberto Roberti). I problemi di budget (estremamente ristretto) non sembrarono preoccupare il nostro regista, il quale riuscì nonostante tutto a presentare una visione del Far West violenta e moralmente complessa, che da un lato rende tributo ai grandi classici di John Ford, dall'altro se ne distacca nei toni. L'eroe vero e proprio, facilmente riconoscibile e sempre nel giusto (rappresentato da John Wayne) viene sostituito da una versione più sporca e moralmente confusa del pistolero, senza scrupoli e sempre imbronciato (Clint Eastwood). 


Clint Eastwood, Eli Wallach e Lee Van Cleef in “Il buono, il brutto e il cattivo”

I due film successivi, Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto e il cattivo (1966) completano la "Trilogia del dollaro". Il budget a disposizione di Sergio Leone iniziava a crescere con l'aumentare del successo, ma erano tre i fattori fondamentali di questo boom: la bravura del regista, la scelta oculata degli attori e le colonne sonore di Ennio Morricone. Il compositore italiano divenne famoso proprio grazie alla Trilogia del dollaro, accompagnando Leone in tutti i suoi film fino a C'era una volta in America (1984). Il suo C'era una volta il West era stato progettato per essere l’ultimo western di Sergio Leone. Fu girato tra la Monument Valley, che da sempre ispirava i grandi registi di western (non a caso esiste un punto panoramico nella vallata dedicato a John Ford), l'Italia e la Spagna. Il film fu una meditazione violenta e quasi onirica sulla mitologia del Far West e ad esso collaborarono anche altri due grandi registi, quali Bernardo Bertolucci e Dario Argento, all'epoca quasi sconosciuto. La sceneggiatura e l’intero film furono ritoccati e modificati più volte dagli Studios, tanto che ne esiste una versione più corta di ben 165 minuti. Soltanto quando anni dopo fu permesso al regista di lavorare nuovamente sulla pellicola, creando una versione da 175 minuti, C’era una volta il West divenne il capolavoro che oggi tutti conosciamo. Insieme a Il buono, il brutto e il cattivo rappresenta il caposaldo del genere western… italiano, sebbene fosse stato finanziato dagli Studios americani.
 

Charles Bronson, Jason Robards e Henry Fonda in “C’era una volta il West”. Sullo sfondo la ferrovia che rappresentava la fine dell’epoca dei cowboy.


Esattamente, avete letto bene. I film di Sergio Leone vengono spesso etichettati come “Western”, implicando che siano annessi al genere americano. In realtà si tratta di Spaghetti western in tutto e per tutto, sebbene avessero un taglio diverso rispetto alle parodie di Bud Spencer e Terence Hill. Solo nel 1970 infatti venne lanciato quello che divenne lo Spaghetti western comico più famoso del genere: Lo chiamavano Trinità. Si trattava di una sobria e divertente parodia dei film alla Sergio Leone, che mescolava le più classiche sparatorie con le scazzottate che erano il marchio di fabbrica della coppia Spencer & Hill. Molti sostengono che nella colonna sonora di questo film, firmata Franco Micalizzi,  si celi lo zampino di Ennio Morricone, in quanto alcuni passaggi del tema principale sarebbero identici a quelli di Giù la testa. Non è dato sapere se si trattasse di una semplice "ispirazione" o se i due lavorarono realmente insieme, di certo la colonna sonora aiutò il successo di questo film, tanto che l'anno successivo fu prodotto un sequel ... continuavano a chiamarlo Trinità. Nel 1995 attori e regista provarono a replicare il successo dei primi due film con Trinità & Bambino… e adesso tocca a noi! il quale si rivelò però una mera operazione nostalgia che qualitativamente non poteva essere assolutamente paragonata al primo capitolo della saga.



Bud Spencer e Terence Hill in “Lo chiamavano Trinità"


Nel 1971 Franco Ferrini pubblicò un articolo sulla rivista Bianco e Nero in cui individuava quelle che secondo lui erano le distinzioni fondamentali tra il western all'italiana e quello classico. Il suo pensiero si può riassumere dicendo che nei western all'italiana il protagonista non è quasi mai un eroe, ma un antieroe mosso da interessi personali quali ad esempio il denaro, invece che dagli ideali tanto cari a John Ford. A differenza dal western classico, quello italiano è molto meno moralista, le scene sono più cruente e i personaggi molto più cinici. Il risultato è un'immagine molto meno romantica e più dura dell'Ottocento nell'Ovest americano. Probabilmente il fatto che i registi e il pubblico a cui erano destinati i film non fossero americani ha aiutato il distacco dagli stereotipi nazionalisti e nostalgici del Western. Il mito del Far West veniva quindi messo in discussione dalla nuova formula italiana, ma all'iniziale diffidenza da parte degli americani seguì un adattamento e una revisione anche da parte loro, segno che gli Spaghetti Western hanno avuto un’influenza sul cinema americano più forte di quella che si potrebbe pensare.

Alcuni critici sostengono che uno degli ultimi film del filone western revisionista sia Gli Spietati (1992). Clint Eastwood è qui presente nel doppio ruolo di attore e regista, passando di fatto dietro la macchina da presa e mettendo in pratica quanto imparato sui set di Leone. Pochi sanno infatti che nei titoli di coda Eastwood inserì una dedica "a Sergio e Don", ringraziando i due maestri Sergio Leone e Donald Siegel. Gli altri interpreti di questa storia dura e disillusa erano Gene Hackman, Morgan Freeman e Richard Harris. Il film ricevette nove nomination agli Oscar, vincendo ben quattro statuette (tra le quali quelle per Miglior film e Miglior regia).
Si tratta del terzo western della storia ad aver vinto un Oscar per il miglior film, dopo I pionieri del West (1931) e Balla coi lupi (1990).

Noi appassionati del genere aspettiamo ancora un altro Western degno di tale nome.



Morgan Freeman e Clint Eastwood in “Gli Spietati”.



Articolo di Gilraen81 pubblicato in origine su Gdr-Online il portale dei giochi di ruolo italiani.

martedì 4 dicembre 2012

Recensione: Hell on Wheels






Hell on Wheels è una serie televisiva western ambientata nel 1865 negli Stati Uniti appena usciti dalla guerra civile tra Nord e Sud. Il titolo si traduce letteralmente con "L'inferno su ruote" (o rotaie in questo caso) e indica l'agglomerato di tende e casupole che ospitava saloon, prostitute e case da gioco a seguito degli operai dediti alla costruzione della First Transcontinental Railroad, ovvero la prima ferrovia transcontinentale americana.

La storia si apre con gli omicidi commessi per vendetta da un soldato confederato, Cullen Bohannon, interpretato da Anson Mount. Tornato a casa da sconfitto dopo la guerra infatti Bohannon scopre che è stata rasa al suolo. Sua moglie è stata violentata da un drappello di soldati dell'Unione e poi impiccata a una trave e il loro bambino è stato chiuso nel fienile e bruciato vivo insieme alla tata di colore che accompagnava Bohannon da una vita.
Scoperti i colpevoli quindi Bohannon, alle apparenze un pistolero che ama il Sud e fa fatica ad accettare la sconfitta, si mette sulle loro tracce. La prima puntata inizia infatti con una serie di brutali omicidi che lo portano fino al cantiere della ferrovia Union Pacific, dove la sua prossima vittima lavora come supervisore. Si fa assumere, fingendosi un ex schiavista per compiacere il suo capo, guadagnandone la fiducia, ma al contempo ingaggiando una serie di scene molto combattute con Elam Ferguson (Common), un ex schiavo mulatto che si propone come leader dei lavoratori di colore al cantiere. (Non vi racconto altro per non spoilerare)

La condizione degli schiavi e dei confederati nel film è molto particolare. Entrambi i gruppi infatti fanno fatica a mettersi al passo con la nazione americana. Il razzismo è un elemento molto forte, perchè sebbene formalmente gli schiavi siano stati liberati con la vittoria del Nord nella recente guerra, vengono comunque pagati di meno, trattati peggio degli altri e devono sobbarcarsi turni di lavoro sfiancanti. Era loro vietato l'ingresso nei saloon, nelle case da gioco e di piacere. La ghettizzazione, se così vogliamo definirla, era palese e non si faceva proprio nulla per nasconderla. Allo stesso modo i confederati venivano derisi dai "vincitori", soprattutto dai soldati dell'unione, che spesso travisavano i fatti accaduti in guerra per ridicolizzarli ulteriormente. In tutto questo la società dell'Ovest, fatta da cowboy e pistoleri, sembrava arrancare dietro al progresso del telegrafo e della ferrovia.

I problemi interni a Hell on Wheels accompagnano il sempre presente conflitto con gli indiani. La Sioux Nation (che comprendeva svariate tribù come i Lakota, i Dakota e i Cheyenne) infatti intende sconfiggere l'enorme "cavallo di ferro" e scacciare i bianchi dai propri territori. L'inizio delle ostilità è dato dall'attacco a una piccola spedizione di cartografi capitanata da Mr. Bell, accompagnato da sua moglie Lily (una splendida Dominique McElligot). L'obiettivo di Bell era quello di tracciare il percorso della ferrovia in modo che non attraversasse i territori sacri degli indiani, ma quando viene brutalmente massacrato dalle stesse tribù che cercava di tutelare, l'unica erede delle sue mappe resta la giovane moglie Lily.

La prima cosa che colpisce di Hell on Wheels, oltre alla storia, è la cruda realtà che viene presentata senza fronzoli agli spettatori. A differenza di molti altri film o telefilm western che mostravano prostitute sempre imbellettate e ammalianti o cowboy al massimo impolverati in cittadine sempre piazzate in un ipotetico deserto, qui i fatti storici vengono presentati correttamente. Le prostitute venivano considerate meno di zero. A volte venivano uccise dai clienti, ma non v'erano indagini in merito: erano solo... animali da piacere. A chi importava? Le donne al seguito di Hell on Wheels si dividono tra mogli devote e quasi sempre chiuse in casa e l'allegra brigata delle prostitute. Il diavolo e l'acqua santa. Silenziose e chiuse le prime almeno quanto sono sboccate, volgari ed esagerate le altre. Le prostitute nella serie non sono così carine come le si vede nei vecchi film di Sergio Leone. Non portano bei vestiti ma piuttosto straccetti che scoprono più che coprire. Si ubriacano di continuo, organizzando serate nel loro bordello a base di alcolici, sesso a pagamento e canzoni volgarissime per intrattenere i clienti in attesa del loro turno.
Le signore non hanno quasi mai i vestiti puliti. A Hell on Wheels infatti piove, a differenza delle immense praterie sempre soleggiate mostrate nei vecchi western. E quando piove il manto stradale si trasforma in una poltiglia di fango e melma, che sporca gli orli degli abiti, annerendoli irrimediabilmente. Non li si poteva lavare di continuo: spostarsi al fiume con gli indiani sempre pronti ad attaccare era pericoloso.

Un'altra cosa molto interessante è il fatto che la serie mostra come gli americani nella costruzione delle ferrovie fossero pochi e quasi sempre ai posti di comando. Gli operai erano infatti quasi tutti immigrati irlandesi, tedeschi o ex schiavi alla ricerca di un lavoro. I pochi tentativi di scioperare per ottenere condizioni di lavoro più umane venivano sempre soffocati con la minaccia di far arrivare un altro treno pieno di lavoratori e licenziare tutto il resto: vi era infatti più domanda che offerta e quindi trovare dei nuovi operai era semplicissimo.

Questa serie televisiva mi ha colpito per l'intensità dei personaggi, oltre che per il realismo nel mostrare come vivevano queste persone e quali erano i conflitti che continuavano a trascinarsi anche dopo la fine della guerra. Non c'è mai il "buono" o il "cattivo", ma piuttosto esiste tutta una fascia che si colloca nel mezzo. I principi che guidavano i pistoleri e i primi imprenditori americani non erano i nostri, quelli della società "moderna" e quindi alcune azioni o ragionamenti potrebbero sconvolgere lo spettatore, che tuttavia farà presto a immedesimarsi in questo telefilm mai noioso.

Posso dire di non aver condiviso alcune decisioni degli sceneggiatori nella seconda serie ma nel complesso come appassionata di Western consiglio Hell on Wheels a tutti, magari in lingua originale, per non rischiare di perdersi i "mugugni/grugniti" di Bohannon con il doppiaggio.

Buona visione!